Cantieri sperimentali


Oltre al progetto di sviluppo e di rivitalizzazione dei territori, il programma LAB.net + si propone, sempre grazie all’utilizzo del web e delle tecnologie digitali, di dare vita ai Cantieri sperimentali.

L'obiettivo è quello di raccogliere, tramandare e mantenere vivi esempi di tecniche costruttive edilizie e di realizzazione di manufatti, il tutto attraverso strumenti innovativi. Salvare le tradizioni del fare attraverso le tecnologie più moderne, rendendo così "perenne" l'insegnamento e fornendo una testimonianza importante anche per le generazioni future.

In concreto si tratta di creare un “social network locale”, un cantiere virtuale fatto di hot spot, reti wi-fi, personal computer. Uno strumento che permetta lo scambio di relazioni tra le comunità locali, ma porti anche alla diffusione di conoscenze e saperi tradizionali, generando la nascita di progetti di sviluppo partecipati e condivisi.

Non si è trattato dunque di realizzare un cantiere fisico dove "attuare un progetto" e "formare le maestranze", ma di provare a consolidare esperienze tradizionali attraverso la "rete", portando contribuiti e stratificando le conoscenze.

Per ogni area del laboratorio regionale sono stati realizzati diversi filmati che presentano una visione organica degli antichi mestieri del territorio, principalmente orientati al settore dell’edilizia, riprendendo e montando le esperienze ritenute più significative per la storia materiale del territorio.

Il grande vantaggio dell’utilizzo delle tecnologie digitali è quello di superare le difficoltà di riuscire a spiegare in un testo le procedure e i trucchi per svolgere un determinato lavoro, ricorrendo a pochi minuti di video nei quali l'artigiano realizza l'opera in tempo reale davanti alla telecamera.

Per quanto riguarda l’area di Casella e della Valle Scrivia, il cantiere sperimentale si è occupato del recupero e della costruzione dei muri in puddinga.
La puddinga è una roccia sedimentaria composta da ciottoli trasportati da fiumi o correnti marine. Il termine puddinga è ormai caduto quasi in disuso, sostituito da "conglomerato". La zona del monte Maggio e del monte Antola, oltre a quelle del promontorio di Portofino e di Celle Ligure, è una delle poche in Liguria dove si possono trovare siti di questa pietra.

Oggi la puddinga viene utilizzata nella realizzazione di muri "faccia a vista", ossia muri in cemento armato la cui parte visibile viene ricoperta da pietre di puddinga, in maniera da renderli simili a quelli realizzati in passato.
La posa avviene partendo dal basso utilizzando mazza e scalpello. Considerando la granulosità della pietra, ogni pezzo richiede una lavorazione lenta e faticosa perché possa essere adattato e sistemato. Questi muretti si differenziano dagli altri che si trovano sulla costa per la dimensione delle pietre che li costituiscono: la granulosità del materiale costringe all'utilizzo di pietre non troppo piccole, che si frantumerebbero nella lavorazione.

Le moderne tecniche costruttive prevedono anche l'utilizzo di qualche punto di cemento per garantire alla struttura maggiore stabilità e durata nel tempo.
I video inseriti su labnet.laboratoripartecipatiliguria.it analizzano inoltre l’utilizzo della puddinga nella costruzione di edifici agricoli e di cascine, fatto che deriva dall'abbondanza e dal conseguente prezzo basso del materiale.

Guardando alcune vecchie costruzioni il cui intonaco è stato parzialmente rimosso dalle intemperie è possibile osservare come l'intonacatura antica riveli una struttura granulosa composta da elementi tondeggianti, perché la sabbia utilizzata era prelevata dalle anse dei torrenti e conteneva quindi pietre levigate dall'acqua. L'intonaco più recente, costituito da sabbia mista di frantoio, presenta invece elementi a spigoli aguzzi che non sono stati smussati dalle correnti d'acqua.

Nell'architettura povera delle cascine l'intonaco veniva tirato a filo della pietra, quindi spesso non copriva del tutto la muratura. Questa tecnica creava così un intonaco con affioramenti di pietra nei punti in cui essa sporgeva.
Altri spunti di analisi delle tecniche costruttive tradizionali vengono dalla “lobia” e dai fienili con tetto in paglia.
La lobia, paragonabile al moderno balcone, era costituita da travi di legno dove poter appendere facilmente diversi tipi di oggetti. Era una zona protetta dalle intemperie e veniva utilizzata per stendere il bucato ma anche per far seccare alcuni prodotti della terra. Nei paesi della Valbrevenna, che da settembre a primavera vedono il sole per poche ore al giorno, l’essiccazione consentiva la conservazione dei prodotti.

I fienili e le stalle prevedevano una zona deposito e stalla nella parte bassa, mentre in quella alta si trovava il fienile. Il tetto della costruzione aveva una copertura in paglia di fascine di grano, oggi sostituite dalle tegole.
La struttura del tetto originaria in legno è invece rimasta; i correnti in castagno che la compongono sono sistemati a una distanza tale da consentire il posizionamento delle fascine a cavallo tra loro, sovrapposte di un terzo.

 

Vai ai video dei Cantieri sperimentali

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