Housing Sociale e nuovi processi per l’abitare
Riflessioni e definizioni in tema di Social Housing
Le trasformazioni socio-economiche in Italia e le nuove forme di disagio abitativo
«La casa ormai da diversi anni è diventata un’emergenza nazionale» (Federcasa, 2013).
Come noto, dagli anni Novanta, la “questione casa” è tornata a essere un tema centrale del dibattito sociale e politico italiano a seguito dell’emergere di nuove e più diffuse forme di disagio abitativo le cui motivazioni sono da ricercarsi in una serie di trasformazioni che hanno coinvolto le dimensioni economica e sociale del vivere contemporaneo. Di conseguenza, la “questione casa” oggi risulta molto diversa rispetto al passato quando il disagio abitativo era espressione di una forte istanza di «cambiamento della propria condizione sociale e la risposta pubblica è stata la costruzione di nuove case e l’incoraggiamento alla proprietà» (Anci-Cresme, 2005). Negli ultimi vent’anni, invece, le trasformazioni economiche e sociali hanno portato a un mutamento della domanda di abitazioni che ha evidenziato la presenza di un nuovo profilo del bisogno che, a differenza del passato, focalizza il proprio disagio sull’insostenibilità delle spese per l’abitazione piuttosto che sulla domanda di alloggi in proprietà o in cui vivere; si tratta di un disagio che, a fronte del progressivo impoverimento delle famiglie e della scarsa offerta di alloggi economicamente accessibili sul mercato, diventa una vera e propria emergenza sociale. Inoltre, alcuni fattori, come la perdita di efficacia delle politiche a sostegno dell’abitazione sviluppate in Italia dal dopoguerra per la mancanza di fondi pubblici e per inefficienze legate alla gestione del patrimonio esistente, hanno contribuito a questa nuova esplosione del problema casa che, rispetto al passato, ha investito un numero maggiore di individui, non restando un fenomeno limitato alle categorie sociali storicamente più deboli, ma andando a coinvolgere anche altri soggetti con redditi medi.
Le cause delle nuove forme di disagio abitativo possono essere individuate nell’effetto congiunto di una serie di fattori economici e sociali che hanno comportato, da un lato la progressiva contrazione dell’offerta residenziale pubblica, dall’altro un processo di segmentazione e frammentazione sociale che coinvolge in misura crescente le famiglie e si estende anche all’abitare.
Per quanto riguarda l’offerta residenziale pubblica, questa deve fare i conti con alcuni fattori di criticità come l’alta percentuale di case in proprietà che ha sempre caratterizzato l’Italia, l’esiguità del patrimonio di edilizia pubblica, la concentrazione delle risorse disponibili per l’abitazione e l’alto numero di richieste, che continua ad aumentare. Da una parte, infatti, «l’eccessiva patrimonializzazione esistente in Italia rivela caratteri di rigidità e stanzialità del mercato, di un forte radicamento al territorio, aspetti oggi anacronistici di fronte alle trasformazioni del mondo del lavoro, alla recessione economica in atto e alla diffusa mobilità che caratterizza la società contemporanea», dall’altra parte si osserva che «lo stock di edilizia sociale è molto limitato e non è in grado di influire sul mercato: l’offerta non supera il 5% e a partire dagli anni ’90 si è ridotta in modo crescente» (Galdini, 2012). Nel nostro Paese, a fronte di circa l’80% delle famiglie proprietarie di un’abitazione, gli alloggi sociali sul totale del patrimonio residenziale sono solo il 4.5%, contro il 34.6% dei Paesi Bassi, il 21% della Svezia, il 20% della Danimarca, il 17% della Francia, il 14.3% dell’Austria, l’8% dell’Irlanda, il 7% del Belgio, il 6.5% della Germania[1]. In questo modo, l’Italia si posiziona agli ultimi posti delle classifiche europee per la percentuale di alloggi di edilizia pubblica calcolata sul totale dello stock in affitto, risultando sotto il 5% – insieme a Spagna, Portogallo e Grecia –, contro una media intorno al 25% degli altri Paesi (Federcasa, 2013). Questi dati rendono conto della progressiva riduzione dell’offerta di alloggi di edilizia residenziale pubblica in Italia, causata dal processo di dismissione iniziato nel 1993 che ha determinato la perdita secca di oltre il 22% del patrimonio, e dall’eliminazione dei Fondi Gescal che ha portato all’arresto di iniziative di edilizia pubblica sia per quanto riguarda il patrimonio abitativo che quello della riqualificazione del patrimonio degradato. Secondo le stime Federcasa, oggi l’Edilizia Residenziale Pubblica in Italia rappresenta, in totale, poco meno di un milione di alloggi, oltre 800 mila dei quali gestiti in affitto dalle Aziende per la Casa (gli ex IACP variamente denominati e trasformati in occasione delle riforme attuate dalle Regioni).
Dal punto di vista del fabbisogno abitativo, invece, si stima che oggi ci siano circa 650 mila domande in attesa per l’assegnazione di un alloggio nelle graduatorie dei Comuni, che rappresentano almeno 150 mila persone in situazione di bisogno e di disagio abitativo: un fabbisogno che nel corso degli ultimi anni ha subito un brusco innalzamento. Si tratta dunque di un problema che ha conseguenze ad ampia scala perché «la mancanza di un’offerta abitativa articolata e corrispondente alle esigenze delle dinamiche demografiche e sociali del nostro Paese costituisce oramai un freno rilevante allo sviluppo […]» (Federcasa, 2013).
Un ulteriore fattore economico che ha inciso notevolmente sulle nuove situazioni di disagio abitativo è la diminuzione del potere d’acquisto dei salari e, di conseguenza, l’impoverimento delle famiglie italiane. Secondo i più recenti dati Istat[2], nel 2012 il reddito disponibile delle famiglie in valori correnti è diminuito rispetto all’anno precedente, in tutte le regioni italiane: nel confronto con la media nazionale di -1,9%, il Mezzogiorno segna la flessione più contenuta (-1,6%), seguito dal nord-est (-1,8%), dal nord-ovest e dal Centro (-2%), mentre le regioni con le riduzioni più marcate sono la Valle d’Aosta e la Liguria (-2,8% in entrambe). Se, invece, si confrontano questi dati con il reddito disponibile delle famiglie nel 2009 (anno di inizio della crisi economica) si rileva un aumento dell’1%. In particolare il nord registra un incremento maggiore (+1,6% nel nord-ovest e +1,7% nel nord-est) mentre, sempre rispetto al 2009, il Centro e il Mezzogiorno segnano un aumento molto più contenuto (rispettivamente +0,4% e +0,2%). La Liguria si attesta come la regione italiana che ha risentito maggiormente degli effetti della crisi economica perché tra il 2009 e il 2012 le famiglie hanno subito una diminuzione dell’1,9% del reddito disponibile, mentre l’Umbria e la provincia di Bolzano sono state le meno toccate dagli effetti della crisi economica con aumenti, nel periodo considerato, rispettivamente del 3,6% e del 2,7%.
Dal punto di vista sociale, uno dei principali fattori che ha determinato l’attuale condizione di disagio abitativo è il mutamento della struttura dei nuclei familiari, che presentano dimensioni sempre più ridotte. La famiglia tradizionale si è diversificata: a fronte dell’aumento dei nuclei familiari si ha, infatti, una forte diminuzione del numero dei componenti degli stessi, rappresentati da genitori con un unico figlio, single, separati, famiglie monogenitoriali e anziani soli ancora autosufficienti. Le ragioni di tale fenomeno si possono rintracciare nella diminuzione delle nascite e, quindi, della minore incidenza di famiglie con più di due figli, nell’aumento delle coppie senza figli e nel processo di nuclearizzazione che si esprime con la tendenza a formare più nuclei familiari autonomi costituiti da un unico individuo. Secondo i più recenti dati Istat relativi alla tornata censuaria del 2011[3], in analogia con quanto avvenuto nei precedenti decenni, negli ultimi dieci anni il numero di famiglie è aumentato, passando da 21.810.676 a 24.611.766 unità (per un incremento del 12.8%) ma le famiglie italiane tendono comunque ad essere sempre più piccole, mostrando una progressiva riduzione del numero medio dei componenti: nel 2011 una famiglia è mediamente composta da 2.4 persone. Le famiglie unipersonali sono quasi una su tre e rispetto al censimento del 2001 risultano in notevole aumento a causa del progressivo invecchiamento della popolazione e dei mutamenti demografici e sociali (dal 24.9% al 31.2% delle famiglie). Al contrario, si riscontra una tendenza opposta per quanto riguarda la percentuale di famiglie numerose (con 5 o più componenti) che registrano un moderato calo tra i due ultimi censimenti, rappresentando nel 2011 il 5.7% delle famiglie. Va però sottolineato che l’incremento delle famiglie registrato nell’ultimo decennio è dovuto per il 41.3% all’incremento delle famiglie con almeno un componente straniero, e che l’incremento più elevato delle famiglie italiane è comunque a carico delle famiglie unipersonali (oltre il 40%), al quale contribuisce per circa il 17% la forte crescita delle famiglie unipersonali straniere, che in dieci anni sono più che raddoppiate.
Le caratteristiche delle famiglie italiane incidono sulla “questione casa” perché, modificandosi i nuclei familiari, necessariamente vengono a modificarsi anche le necessità e le esigenze abitative, per soddisfare le quali è necessario che i modelli abitativi siano caratterizzati da un’elevata flessibilità per adattarsi al mutamento nel tempo delle esigenze e garantire una maggiore coesione sociale. In questo senso, i dati Istat evidenziano che anche se tra il 2001 e il 2011 le famiglie che vivono in abitazioni di proprietà aumentano del 13.8%, quelle che usufruiscono dell’abitazione ad altro titolo crescono del 29.2% e quelle in affitto rimangono pressoché stabili (+0.9%); nello stesso periodo le famiglie che condividono un’abitazione sono quasi triplicate, passando da 236.064 del 2001 a 695.908 del 2011 (per un incremento del 194.5%).
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[1] A tal riguardo si veda il documento Housing statistics in the European Union 2010, su http://www.housingeurope.eu/housing-in-th-eu/housing-statistics.
[2] Si veda il sito internet http://www.istat.it/it/archivio/111473.
[3] Si veda a questo proposito i dati pubblicati nella pagina web www.censimentopopolazione.istat.it.