Social Housing in Liguria: lavori in corso

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foto fascicolo 5

L’ “Edilizia Sociale” a Genova e in Liguria

La storia della cosiddetta residenza sociale a Genova – scegliendo di usare un termine piuttosto generico e indefinito –, ricalca quella del resto del Paese, anzi l’esperienza genovese in tema di edilizia sociale si colloca fra quelle più varie e ricche di sperimentazioni.

Fin dall’inizio del diciannovesimo secolo, infatti, sono stati realizzati un grande numero di edifici residenziali grazie al Piano INA-Casa[1], «ma è dagli anni ‘60 fino agli anni ‘90 che venne avviato un intenso programma di edilizia residenziale, grazie ad alcune leggi come la 167/62, la 457/78 la 25/80, volte, appunto, ad agevolare la costruzione di alloggi» (Gazzola, 2003).

I quartieri residenziali della città pubblica, ovvero di edilizia supportata da contributi finanziari pubblici in forma sovvenzionata, destinata all’affitto e convenzionata, destinata all’acquisto, si è distribuita sulle alture della città alle spalle dei quartieri di Voltri, Prà, Pegli, Sestri Ponente, Borzoli, Begato, Granarolo, S. Eusebio, Quarto. Alcuni dei nuovi quartieri hanno una prevalenza di edilizia convenzionata, costituita spesso su base cooperativa, ad esempio nei quartieri di Granarolo e S. Eusebio. Altri quartieri non ebbero un’identificazione propria ma vennero da subito individuati facendo riferimento ai quartieri preesistenti, è il caso dei quartieri di Voltri 2 e di Pegli 3. Infine, altri quartieri vennero fortemente stigmatizzati – fin dal momento della loro realizzazione – da soprannomi tuttora utilizzati: il quartiere di Cà Nuova a Prà venne denominato CEP[2], propriamente riferibile ad una zona sottostante su cui il sovrapporsi dell’immagine di una realtà inizialmente difficile e dell’accanimento giornalistico aveva creato un radicato pregiudizio negativo. Il comparto di Pegli 3, quanto quello di Begato, hanno tratto dalla loro conformazione e dalle scelte progettuali due precise denominazioni: quello di “lavatrici” a Pegli – per la scelta di creare dei prospetti con aperture circolari – e quello di “diga” al quartiere Diamante di Begato  – per la scelta di creare con gli edifici uno sbarramento della valle.

Nella maggior parte dei casi i quartieri popolari di Genova hanno tratti comuni: la presenza di edifici imponenti rispetto al contesto, la loro visibilità e la loro dispersione, poiché i diversi insediamenti sono collocati in territori che non presentano continuità e coerenza di insediamento. La scarsa attenzione alla localizzazione degli insediamenti e agli effetti che i progetti potevano produrre sul territorio ha dato luogo a trasformazioni che non hanno quasi mai cercato di interpretare le valenze ambientali e le stratificazioni storiche. L’obiettivo principale dei progetti realizzati attraverso gli strumenti di legge sopra menzionati era quello di dare una risposta numericamente significativa al bisogno di abitazione tra gli anni ‘70 e ‘80.

Attualmente, nonostante l’ampia disponibilità di alloggi, il problema dell’abitazione è grave e centrale poiché i canoni di locazione a Genova sono tra i più alti in Italia ed è per questa ragione che l’Amministrazione comunale ha intrapreso da alcuni anni iniziative mirate a ridurre i disagi abitativi, specie per le fasce più deboli della popolazione.

L’offerta di alloggi pubblici è significativamente inferiore rispetto alla domanda e di conseguenza l’Amministrazione riesce a soddisfare solo le situazioni di emergenza: nel 2011 su un fabbisogno di 3.133 alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica, le abitazioni assegnate sono state 350; mentre nel 2012 è andata peggio perché su circa 4.000 domande, la risposta si è fermata a poco più di 300[3].

I dati più recenti che riguardano le domande di un alloggio ERP[4], presenti nelle graduatorie dei capoluoghi di Provincia della Liguria presentano una situazione che mette in evidenza, non soltanto la consistenza di questa domanda, ma anche la quantità di domande escluse, che fanno presupporre che si tratti di quella “fascia grigia” che, non rientrando nell’Edilizia Residenziale Pubblica e non riuscendo a soddisfare il proprio bisogno abitativo sul mercato, si rivolge all’Housing Sociale.

Secondo questi dati, infatti, a Genova su circa 3.300 persone inserite in graduatoria, circa 620 sono gli esclusi, mentre per quanto riguarda gli altri capoluoghi risulta: a La Spezia 1.585 persone in graduatoria e 263 esclusi, Savona e Imperia – che presentano ancora dei dati provvisori –, hanno rispettivamente 736 inseriti e 141 esclusi a Savona, e 290 inseriti a Imperia.

Per compiere una riflessione sulle possibilità del Social Housing in Liguria e, in particolare nel Comune di Genova, e sulla potenziale “fascia grigia”, appare interessante osservare alcuni dati che riguardano la popolazione di questo territorio, seguendo la traccia di quanto si evidenzia a livello nazionale[5].

…continua a leggere nel .pdf completo scaricabile tra gli allegati.

 



[1] Si veda a questo proposito un approfondimento tra gli allegati al Fascicolo 2.

[2] Centro Edilizia Popolare costituito in epoca anteriore alla legge 167/62 ma sempre sulla base di finanziamenti pubblici e destinato a classi particolarmente svantaggiate era diventato rapidamente simbolo di degrado sociale al punto che l’acronimo veniva interpretato come Cattivo Elemento Pericoloso. Ancora oggi, superata la fase critica, e raggiunta una situazione sociale accettabile, gli stereotipi negativi permangono.

[3] Tali dati sono stati comunicati nel corso del convegno: “Analisi e prospettive della crisi abitativa a Genova” che si è tenuto il 5 marzo 2013 a Palazzo Tursi.

[4] Per i dati delle graduatorie ERP si fa riferimento a quanto pubblicato sul sito della Regione Liguria www.regione.liguria.it.

[5] Si veda il Fascicolo 2.

 

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